photo credit: dal film Departures
Tanatoestetica: un ponte tra il lutto e il ricordo
Intervista a Simona Pedicini, tanatoesteta, alla scoperta della professionalità che restituisce dignità e rispetto a chi non c’è più.
Come celebranti, siamo consapevoli di quanto sia importante il modo in cui si affronta una perdita. Ogni dettaglio – una parola, un fiore, una canzone – può fare la differenza per chi resta, contribuendo a onorare con dignità e autenticità la storia della persona deceduta e ad aiutare così l’avvio del processo di elaborazione del lutto.
In questa intervista, ci spingiamo un passo più in là ed esploriamo il mondo della tanatoestetica, la disciplina che si occupa della cura estetica del corpo morto, con l’obiettivo di offrire ai suoi cari un’ultima immagine composta e naturale.
A parlarcene è Simona Pedicini, una delle pochissime tanatoestete italiane (ma anche cerimoniere funebre e scrittrice). Figura multiforme, dal percorso accademico ricco e sorprendente, oggi lavora per privati e agenzie funebri e tiene anche corsi di formazione in tanatoestetica e cosmesi funebre.
Simona ci racconta la sua esperienza – in equilibrio tra le due dimensioni del morire, teorica e pratica – e le sfide di un mestiere ancora circondato da pregiudizi. Attraverso le sue parole, emerge una riflessione profonda sulla morte e sull’importanza del ricordo e sulla necessità di restituire alla persona morta non solo un aspetto sereno, ma anche il rispetto per la sua identità e la sua storia.
FC: come definiresti la tanatoestetica a chi non ne ha mai sentito parlare?
SP: La tanatoestetica è una pratica post-mortem che mira alla cura estetica del cadavere in modo da preservare il suo aspetto per il periodo necessario al commiato. Scopi della tanatoestetica sono dunque sia di attenuare, e dove possibile di eliminare, i segni della morte, siano essi pallore, variazioni di colore, lividi, ecchimosi, siano le deturpazioni causate da ferite, da traumi o anche da malattie, sia di trattare esteticamente il cadavere attraverso un meticoloso trucco e un’attenta vestizione così da restituire a parenti e amici un’immagine serena della persona morta. La tanatoestetica è costituita da una serie di interventi igienici, conservativi, estetici e di ricostruzione che devono essere eseguiti secondo un rigido protocollo da personale specializzato e che procedono dalla disinfezione del cadavere, al suo make up e camouflage, sino alla vestizione e all’incassamento nella bara, gesto questo che costituisce l’ultimo atto da poter eseguire sul cadavere per i momenti finali con i dolenti, prima che venga chiuso il feretro.

FC: il tuo lavoro è ancora poco conosciuto in Italia. Quali sono state le esperienze o gli incontri che ti hanno portata a intraprendere questo percorso professionale?
SP: La professione tanatoestetica nel mio percorso di vita nasce dalla ricerca. Mi sono specializzata in Studi sulla Sacra Sindone che mi hanno insegnato il senso della morte come mistero e il mistero di un cadavere assente. Mi sono specializzata inoltre in Storia della mistica femminile di epoca barocca e in Storia dell’anatomia femminile su corpo sacro sempre di epoca barocca: mi sono immersa in testi in cui si trattava di corpi di mistiche che l’autorità ecclesiastica apriva, nel senso concreto, chirurgico, del termine, e osservava convinta di trovarvi le tracce del demoniaco. Così, soffocando la voce delle donne in vita e violando i loro corpi in morte, il maschile controllava le donne. Sapevo tanto della morte da un punto di vista storico, filosofico, antropologico, teologico, ma continuavo a chiedermi cosa fosse concretamente la morte e in cosa un corpo morto fosse diverso da uno vivo. È accaduto poi che durante la scrittura di un articolo, avessi bisogno di un libro che non trovavo in nessuna biblioteca e che, dopo tanto cercare in internet, sia riuscita a reperire in un luogo per me allora sconosciuto e di cui ignoravo l’esistenza. Si trattava di una funeral home canadese, una villa di architettura vittoriana, le cui foto mostravano un immenso giardino in cui era stato allestito, con grande cura, un tavolo per il pranzo di familiari e amici là raccolti per festeggiare la persona deceduta. Ogni ambiente della funeral home era ricercato, adatto a soddisfare qualunque esigenza dei vari conoscenti dei defunti, ma nessun ambiente parlava di morte, inclusa una piccola biblioteca in cui era conservato il libro che cercavo per il mio articolo. Ho iniziato ad approfondire la conoscenza di questa funeral home e di altre diffuse soprattutto negli Stati Uniti, ho iniziato a capire che vi era un altro modo di trattare la morte, di trattare il cadavere e il dolore di chi rimane in vita. Ho quindi cercato anche in Italia delle situazioni analoghe a quelle straniere che mi permettessero di accostarmi alla dimensione della morte non più solo teorica ma anche concreta, materiale. Da qui è iniziata la mia attività come tanatoesteta e così è sempre continuata, come un ininterrotto approfondimento di entrambe le dimensioni del morire, teorica e pratica.
FC: La tanatoestetica può essere considerata un ponte tra la morte e il ricordo: in questo presenta sicuramente dei tratti in comune con il lavoro del celebrante. In che modo la tanatoestetica può aiutare chi ha perso una persona cara a (iniziare) ad elaborare un lutto?
SP: La tanatoestetica, con il suo offrire un’immagine della persona deceduta che sia dignitosa, curata, serena, svolge un ruolo essenziale nel processo di elaborazione del lutto. Il rispetto della persona morta e dei sentimenti di chi rimane è un fattore di enorme conforto per familiari e amici nell’estremo momento di raccoglimento e di intimità con la persona morta in questione. La presentazione di quest’ultima, curata nella mimica del viso, nella postura delle mani, nell’attenzione al vestiario, restituisce un ricordo con tutti quegli aspetti fisici e caratteriali che sempre gli sono appartenuti e che per sempre resteranno nel ricordo di parenti e familiari. Ciò fa sì che la persona morta non sia colui o colei che la morte ha separato definitivamente dalla vita, allontanandolo dal gruppo di affetti e rendendolo ormai estraneo a esso, ma fa sì che egli o ella sia ancora parte integrante della vita e dei sentimenti di familiari e amici, facilitando in tal modo il percorso di accettazione della morte e il percorso del commiato.
FC: Il tuo lavoro ha una componente artistica e manuale molto forte. Quanto c’è di tecnica e quanto di creatività nel restituire un aspetto sereno della persona morta?
SP: La tanatoestetica è una pratica di restituzione alla persona morta di ciò che la vita ha tolto; una pratica di restituzione artisticamente rispettosa che non può e non deve attribuire alla persona morta nulla, né nella scelta del trucco né in quella dell’abito, di ciò che non è appartenuto alla sua storia personale. La tanatoestetica combina aspetti tecnici, frutto di continui studi basati sulle più moderne conoscenze scientifiche, e aspetti artistici che non possono in alcun modo prescindere dalla profonda comprensione della psicologia del lutto e che sempre, necessariamente, devono essere rispettosi della storia della persona morta, della sua volontà e delle volontà dei familiari.

FC: I prodotti che usi sono eco-sostenibili? È possibile praticare la tanatoestetica in un'ottica di eco-sostenibilità?
SP: Nella scelta dei prodotti seguo rigorosamente tre criteri, ossia garantire la salute del cadavere evitando prodotti scadenti o che possano nuocere alle parti del corpo che vengono trattate, garantire la sicurezza degli operatori, e garantire la tutela dell’ambiente scegliendo prodotti eco-sostenibili. Anche il mondo della tanatoestetica si muove, oserei dire fortunatamente, sempre più in questa direzione.
FC: Il lavoro del tanatoesteta è associato fortemente con il momento della veglia funebre. Quanto spesso le famiglie richiedono questa pratica, in Italia rispetto all’estero, ad esempio agli USA? E al Nord Italia rispetto al Sud?
SP: Quella in cui viviamo è una società che reclama una sempre maggiore velocità e che a quest’ultima si conforma in ogni aspetto del quotidiano. È ormai svanito il concetto del giusto tempo da dedicare tanto alle cose della vita come a quelle della morte. Il tempo della permanenza del cadavere in casa si è quasi ovunque azzerato, sostituito da pratiche di ospedalizzazione che ormai all’estero, come in Italia, al Nord come al Sud, costituiscono la norma. L’intenso momento della veglia funebre, con il ricco e complesso bagaglio di ritualità che la contraddistingueva, è ovunque diventato un lontano ricordo, materia di studio per antropologi, oggetto di indagine per documentaristi, ma sicuramente non più, se non in sporadici casi, pratica sentita e vissuta. E benché in alcuni paesi esteri, primo fra tutti gli Stati Uniti, la veglia funebre ancora conservi il carattere di cerimonia di tono fortemente celebrativo e sfarzosamente festosa, è tuttavia vero che la tendenza che va imponendosi è quella di accelerare i tempi delle cerimonie, è quella di volersi disfare del cadavere quanto più in fretta possibile.

FC: Nel film premio Oscar del 2008 Departures del regista giapponese Yōjirō Takita, il protagonista, un tanatoesteta fresco di assunzione, subisce (e infine vince) l’ostracismo sociale e la diffidenza della moglie. Come fare a “liberare” questa professione dallo stigma sociale che spesso le viene associato?
SP: È da quando ho intrapreso la professione di tanatoesteta, ossia da diversi anni a questa parte, che conduco una non facile battaglia contro lo stigma che ancora oggi, come agli inizi della mia attività, è associato alla figura del tanatoesteta. La manipolazione del cadavere è da tanti ritenuta non solo un atto capace di suscitare paure, tanto quanto il parlare di morte, ma soprattutto è ritenuta un atto verso il quale al sentimento di paura si somma quello del ribrezzo al pensiero del contatto con il cadavere. Sarebbe necessario insegnare, come faccio nei corsi di formazione che tengo per futuri tanatoesteti, il senso della morte, il suo significato più profondo per liberarla da ogni tabù. Sarebbe necessario insegnare il senso della tanatoestetica per liberarla dall’idea che sia solo fatta di contatto con corpi in putrefazione. Bisognerebbe insegnare che i cadaveri non sono esclusivamente fenomeni putrefattivi ma che sono la storia emotiva della persona morta, lo spazio della sua vita, dei suoi sentimenti e dei sentimenti di chi ancora è in vita.
FC: Ricordi un episodio in particolare cui il tuo lavoro ha trasformato radicalmente l’addio di una famiglia, rendendolo un’esperienza più serena?
SP: Di accadimenti importanti ce ne sono stati diversi nei tanti anni di attività. Credo che quello che più abbia trasformato non solo l’addio della famiglia della persona morta ma anche la mia professione, sia l’episodio che non smetto mai di raccontare, come infatti raccontai anche l’anno in cui fui invitata all’Eredità delle donne nel 2019, e che risale ai primissimi tempi in cui praticavo la tanatoestetica. Mi è capitato di manipolare il corpo di una donna transgender. Per suo desiderio voleva essere sepolta vestita da donna. Aveva lasciato un foglio scritto a penna all’interno dell’abito maschile che sapeva, una volta gravemente ammalatasi, che la famiglia avrebbe voluto per lei. Un abito che avrebbe fatto si che in bara venisse presentata vestita in modo conforme al sesso che la natura le aveva dato. Il foglio recitava: Sono una donna. L’unica cosa su cui ho insistito sino alla fine con i familiari, per i quali il senso della vergogna per il corpo non conforme della figlia era più forte del senso del dolore per la perdita, è che nella bara ci fosse almeno una parte di lei. E così le ho applicato delle unghie colorate, quelle che sempre porto con me nella valigetta in cui ho il necessario per la vestizione e il trucco. Alla fine della vestizione c’era questa donna in un completo maschile giacca e cravatta, con delle sfarzosissime unghie dipinte di rosa, di fucsia, di blu. Questo è stato un atto che ha reso felice la famiglia della defunta, non quella biologica bensì la famiglia che lei aveva scelto come tale e che emozionata ha salutato il feretro in un commiato che alla donna morta ha riconosciuto dignità e rispetto.
FC: Questa professione avrà sicuramente influenzato il tuo rapporto con la morte; come lo definiresti ad oggi?
SP: A dire il vero sono stati i miei studi ad aver contribuito alla definizione del concetto che ho di morte. Ed è questo concetto che è successivamente arrivato a influenzare fortemente la mia attività di tanatoesteta. I miei studi sono stati, e continuano a essere, incentrati sul concetto di morte come mistero e come atto non disperante ma di pacificatrice luce. Lavorare con e per i cadaveri è entrare in questo mistero, che è lì, nella stanza in cui manipolo il cadavere, che è in quel corpo e nella storia di quel corpo che non conosco. Ed è forse questo il mistero più grande che ci sia in assoluto e che da il senso al mio rapporto con la vita, con la morte, con la mia professione, a ogni mio quotidiano gesto.
FC: Tieni anche corsi di formazione; cosa dici ai giovani che si vogliono avvicinare a questa professione?
SP: A loro insegno la necessità di uno studio approfondito delle tecniche di cui si compone la pratica tanatoestetica, ma soprattutto insegno il bisogno e il dovere di dare un senso alla propria professione, di renderla significativa. Insegno quanto sia essenziale capire cosa sia la morte, cosa sia un cadavere andando oltre l’aspetto anatomico, medico-scientifico. Sono queste le conoscenze necessarie per svolgere la pratica tanatoestetica; sono queste le conoscenze che rendono un tanatoesteta un professionista capace di restituire dignità e rispetto alla storia della persona morta e ai sentimenti di chi rimane in vita.